Qui comincia il difficile! – Osservatorio Educazione Finanziaria

Alfabetizzazione finanziaria

Sin dal Medioevo, in Italia le unità di misura non metriche sono state usate nelle comunità rurali con significative differenze. In Piemonte, ad esempio, l’unità di lunghezza era il piede, che misurava 51,4 centimetri, i cui multipli erano il trabucco (6 piedi) e il miglio (800 trabucchi); ma bastava spostarsi in Lombardia per trovare un piede di soli 43,5 centimetri; in compenso, fi c’era il braccio che ne misurava 59,5 e il miglio, che valeva 3.000 braccia.

Innumerevoli metodi di misura, e ovviamente di peso, erano presenti nel resto del Paese, e ancora di più nel resto d’Europa. Ma con l’avvento della Rivoluzione francese, l’Assemblea nazionale rese prioritaria l’abolizione delle iniquità e delle difficoltà dovute ai sistemi di calcolo e misurazione all’epoca in vigore. Nel 1790 Talleyrand, presidente dell’Assemblea nazionale, propose di unificare le misure per la creazione di una misura universale che potesse valere «per tutti gli uomini e per tutti i tempi».
Si pose quindi il problema di inventare le nuove unità di misura di lunghezza e di peso.
In un rapporto presentato all’Accademia delle scienze (tra i firmatari Lagrange, Laplace e Condorcet), si arrivò per ciò che riguardava la lunghezza alle seguenti conclusioni: «Le unità che di più sembrano adatte a servire come base si possono ridurre a tre: la lunghezza del pendolo, un quarto di circolo dell’equatore, infine un quarto del meridiano terrestre».

La scelta cadde sul meridiano, perché poteva essere compiuta in Francia: questo, infatti, passava per Parigi e poteva essere misurato su un arco di ben 9,5 gradi a cavallo del 45° parallelo, con i due estremi sul livello del mare. La nuova unità di lunghezza, la decimilionesima parte del semimeridiano terrestre, venne denominata “metro”, dalla parola greca metron (che significa “misura”) e questa decisione cambiò per sempre il modo di intendere e di calcolare la misurazione di corpi e distanze.

DEFINIZIONE E MISURAZIONE

La necessità di stabilire un criterio univoco e omogeneo per la misurazione di una grandezza fisica, distanza, corpo o sostanza, è da sempre un’esigenza dei membri di una società. Nel momento in cui si definisce questa grandezza, viene anche stabilito in quale modo misurarne le caratteristiche qualitative e quantitative, operazione che richiede il confronto con il campione primario dell’unità di misura a essa omogenea.
II metodo si può estendere a tutto ciò che è concettualmente misurabile e qualificabile e, pertanto, anche all’educazione finanziaria, la cui definizione implicherebbe, anch’essa, un univoco e oggettivo metodo di misurazione. Tuttavia, nonostante il vastissimo numero di studi in materia presenti in letteratura e lo sforzo di istituzioni e accademici, non esiste fra i vari autori accordo su una sua definizione universale, codificata e condivisa. Ciò «rende difficile una comparazione oggettiva dei risultati delle numerosissime e vastissime ricerche condotte a livello sperimentale sul livello di educazione finanziaria in diversi contesti e paesi», afferma Elisabetta Righini, docente di diritto commerciale all’Università di Urbino

«Nonostante l’importanza riconosciuta allo sviluppo dei processi di educazione finanziaria, la letteratura accademica [ha] prestato solo un’attenzione limitata a come viene misurata l’alfabetizzazione finanziaria ».
Secondo molti studiosi (ricordiamo, tra gli altri, Haupt, Houston e Redmund) l’uso e la confusione sulle diverse definizioni e misure concettuali avrebbe addirittura rallentato i progressi e ostacolato la capacità di progettare programmi di educazione finanziaria efficaci.

UN APPROCCIO STANDARDIZZATO

Nel 2009 proprio un noto studio di Sara J. Houston, “Measuring Financial Literacy”, sollevò numerosi dubbi sui modelli di analisi e misurazione. Nel suo lavoro, la Houston esaminò ben 71 studi, rilevando tre ostacoli principali allo sviluppo di un approccio standardizzato per misurare l’alfabetizzazione finanziaria: la mancanza di concettualizzazione e definizione del costrutto; il processo di misurazione, cioè la mancanza di una serie completa di domande per misurare esaustivamente tutte le componenti; il metodo di valutazione, ossia la mancanza di orientamenti interpretativi della misura. II problema della misurazione dell’alfabetizzazione finanziaria, perciò, può essere analizzato su diversi piani. II primo è da ricercare nella sua stessa definizione.

II secondo piano riguarda invece il processo di misurazione. I molteplici studi, d’altronde, si differenziano ampiamente fra loro per i processi di accertamento utilizzati: i sondaggi, attraverso interviste e questionari, rappresentano la modalità più diffusa di accertamento (i test delle prestazioni sono principalmente basati sulla conoscenza), ma spesso la mancanza di un accordo circa i costrutti di base e i criteri di rilevazione estremamente disomogenei rende molto difficile comparare i risultati delle moltissime indagini svolte sul campo. Da sottolineare, infine, l’annoso problema, in caso di autovalutazione a cura degli intervistati, della conoscenza percepita rispetto alla conoscenza effettiva: i consumatori, infatti, spesso pensano di sapere più di ciò che effettivamente sanno e la correlazione tra conoscenze percepite e conoscenze effettive risulta, nella migliore delle ipotesi, moderata. Infine, il terzo piano è la misurazione dei risultati e, anche in questo caso, i metodi di analisi risultano eterogenei e gli indicatori spesso non comparabili.

I BIG THREE’

Ci sono comunque eccellenti tentativi di armonizzazione e omogeneizzazione nell’ambito dei processi di misurazione. II più noto e utilizzato, nonché fonte di ispirazione per molti studiosi e organizzazioni, è quello ideato e promosso da Lusardi e Mitchell tra il 2008 e il 2011, basato sulle cosiddette “tre grandi” domande che misurano la conoscenza dell’interesse composto, dell’inflazione e della diversificazione del rischio.
Queste tre domande sull’alfabetizzazione finanziaria sono diventate nel tempo il metodo di misurazione più comune nei sondaggi in tutto il mondo, uno standard internazionale, rendendo un po’ più semplice il confronto dei risultati tra diversi paesi.

Secondo le due studiose, sono quattro i principi che hanno ispirato la progettazione di queste domande: la semplicità (misurano la conoscenza di elementi fondamentali per il processo decisionale in un contesto intertemporale), la rilevanza (devono catturare idee generali che attengono alle decisioni finanziarie quotidiane piuttosto che specifiche del contesto), la brevìtà (il numero di domande deve essere sufficientemente basso per garantirne un’adozione diffusa) e la capacità di differenziazione (le domande dovrebbero differenziare le conoscenze finanziarie in modo tale da consentire confronti tra le persone). Anche I’Ocse, attraverso l’International Network on Financial Education (Infe), ha cercato di elaborare una metodologia armonizzata.

II questionario Infe misura tre aree rilevanti in tema di educazione finanziaria: l’area delle conoscenze, l’area dei comportamenti e quella degli atteggiamenti.
La parte sull’accertamento delle conoscenze riguarda i concetti principali per l’adozione di solide decisioni in ambito finanziario e comprende anche i “BigThree”.

La sezione sui comportamenti si riferisce a semplici pratiche virtuose, come la compilazione e l’utilizzo di un bilancio familiare, il pagamento regolare di debiti e bollette e l’acquisizione dì adeguate informazioni prima dell’assunzione di decisioni di investimento. Infine, la sezione degli atteggiamenti si occupa di quei tratti personali come le preferenze, le credenze e convinzioni e le abilità non cognitive, che comunque possono interferire con il benessere personale, e si concentra in particolare sulla propensione al risparmio e alla pianificazione a lungo termine.

Infine, sempre I’Ocse, attraverso il Programme for International StudentAssessment (Pisa), nel 2012 ha effettuato il primo studio internazionale su larga scala per valutare l’alfabetizzazione finanziarìa dei giovani e ha indicato ampie variazioni nei suoi livelli all’interno e tra i paesi.
Le valutazioni Pisa 2015 e 2018 hanno fornito informazioni sulle tendenze e i dati su altri paesi che hanno aderito al programma; i risultati delle attuali valutazioni Pisa hanno incoraggiato i responsabili politici a sviluppare, rivedere o intensificare le iniziative di educazione finanziaria per i giovani. Secondo Protagora di Abdera si può discutere di ogni cosa con pari attendibilità da punti di vista opposti.

II pensiero relativista di Protagora si spinge fino all’idea che la felicità non sta tanto nel possedere una verità, quanto nel cercarla. Ma per poterci misurare è necessario prevedere un principio di scelta e selezione basato sull’utilità per il singolo e per la comunità. La scienza, attraverso il metodo scientifico, ha questo compito: «Scegliere, definire, misurare» ciò che è bene ed è utile per il benessere dell’umanità.